In questo periodo siamo un po’ a corto di personale. Tranquilli, il Coronavirus non c’entra. Martina ha appena dato alla luce una bella bimba di nome Eva mentre Damiano si è dovuto sottoporre a un piccolo intervento. I due casi molto diversi mi hanno fatto prudere le dita nella stessa maniera. Entrambi hanno cercato di non pesare troppo sull’organizzazione dell’azienda. Martina per lavorare il mese in più previsto dalle sacre scritture (e starne giustamente uno in più con la sua creatura prima di rientrare) ha dovuto superare una serie di prove che manco i giochi senza frontiere… Damiano si è preso un cazziatone per aver chiesto di verificare dopo un mese se il suo stato di salute gli avesse permesso di rientrare invece dei due suggeriti dal protocollo, come se tutti i lavori fossero uguali e tutti i ruoli fossero uguali, e come se un lavoratore non potesse essere utile anche solo con la sua presenza pur con delle limitazioni. Ma il punto che disturba non è questo. Quello che dà fastidio è la conclusione: “Scusa, ma non sei dipendete? E allora…”. E allora che importa se un’azienda strutturata per far lavorare 8 persone ne fa a meno di 2 per un mese o due? Perché non tre? Chi lo spiega a questi geni che non è solo una questione economica ma significa abbassare la capacità per un’azienda di essere utile a qualcuno che ha bisogno dei suoi servizi? Tutto questo è certamente giusto quando è necessario, non quando è superfluo.
Fermo restando il sacrosanto diritto al riposo e al recupero, è mai possibile che nessuna istituzione con cui si viene a contatto in questi casi veda il rovescio della medaglia e contempli la possibilità che queste persone siano preziose per il lavoro che svolgono? Quanto deve durare ancora questa divisione preconcetta fra l’importanza di chi dà lavoro e chi lo svolge come se le due cose non potessero e anzi dovessero andare di pari passo?
Poi magari si fanno le manovre creative per far aumentare uno zerovirgola punto di pil perché la produzione è in calo…
Sarò io che in questo mondo capovolto non riesco ad allinearmi al pensiero comune ma non voglio arrendermi all’idea che l’unica possibilità di arginare i furbetti del cartellino sia quella di umiliare le persone di buona volontà e che non ci sia modo di distinguere chi si approfitta di una situazione da chi la subisce.
Altrimenti tutti si convincono che la scenetta dal pizzicagnolo di Bruscoli sia l’unica possibile:
un dipendente statale tutto rappreso entra lamentandosi di non riuscire a guarire dal brutto raffreddore che lo aveva bloccato a casa da più di 15 giorni e il carrozziere artigiano lì presente gli consiglia la cura più veloce “prendi la partita iva, ti passa tutto!”.
Che per fare due risate va pure bene ma nel 2020 dovrebbe rimanere giusto una barzelletta.